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Mio padre era uno Sciamano

Gli Sciamani delle varie parti del mondo tramandano da sempre un insegnamento importante “vivi per imparare a morire”, spesso mi sono chiesta il senso.

Ora forse lo so.

Una persona che si è preparata a morire, ha vissuto ciò che voleva vivere, ha seguito la strada del cuore, ha lasciato ogni attaccamento materiale, anche verso il proprio corpo, il proprio “io”, le proprie idee e certezze. Un individuo che ha imparato a morire, è nella fede, nel pieno compimento personale tanto quanto è consapevole di essere un apprendista, senza “farò” in sospeso ma sempre pronto a lasciare tutto per ricominciare. Un nomade della conoscenza, che ogni giorno sa di sapere come sa di non sapere.

Mio padre

Mio padre era un uomo bellissimo, schiena dritta, sguardo fiero e severo… e quando sorrideva il mio cuore si gonfiava di felicità, m’incantavo a guardarlo. Era proprio bello.

Se c’era qualcosa sul quale mio padre non transigeva, era il pretendere che io fossi indipendente e capace di cavarmela da sola. La sua parola preferita era “NO”, senza tante spiegazioni. Mi arrabbiavo tantissimo, ma non c’era modo di fargli dire di più, era un uomo di poche parole.

Quando penso a lui lo vedo intento, concentrato e silenzioso a ricucire le reti da pesca, seduto sulla sua sedia, nessun’altra. Oppure a costruire barche di legno, o rivoltare la terra con la vanga per prepararla alla semina.

Sempre assorto, silenzioso.

L’ego spirituale

Quando cominciai, anni fa, a fare esperienza di vari “percorsi spirituali”, con tutte le nuove scoperte che questo cammino comportava, ho fatto l’errore di credere di avere una vista interiore più acuta e, secondo errore madornale, di pensare di saperne di più.

Mariana Caplan in “A Occhi Aperti”, lo chiama ego spirituale.

Praticavo la meditazione tutti i giorni, a volte qualche minuto, altre per ore, a seconda del tempo. Questo mi faceva pensare di essere a posto con la mia coscienza, come quando da piccoli si va a scuola con i compiti fatti. Mentre per il resto della giornata insistevo con le solite vecchie abitudini e automatismi mentali.

Molto presto ho dovuto scontrarmi con la dura realtà, non avevo capito niente!

La meditazione è in ogni gesto, H24, non una tantum durante il giorno.

Ecco che ho cominciato ad osservare più attentamente mio padre, e il suo modo di fare, premetto che non sapeva niente di meditazione o di pratiche spirituali, ma lui era sempre presente a se stesso, e in uno stato meditativo profondo durante le sue mansioni quotidiane, che non erano solo lavoro, per lui erano molto di più, perché gli indicavano la strada del cuore.

Un duro colpo ricevere insegnamenti sulla meditazione da mio padre, che non aveva mai letto un solo libro sull’argomento, o seguito qualche disciplina o percorso in merito.

Mentre io avevo speso soldi e tempo in questo.

Solo uno sguardo

Da bambina cercavo spesso la sua attenzione, a volte facendo i capricci, altre cercando di fare la brava, ma niente da fare, ero invisibile. Ho sofferto molto, davvero, ma ora ho capito.

Avrei voluto capirlo prima, dico la verità, ma chi sono io per giudicare i saggi Spiriti degli eventi?

Insomma, mio padre non mi dava attenzione perché non ero io, non ero onesta con me stessa quando facevo i capricci né quando facevo la brava bambina. Scimmiottavo dei ruoli, e lui non avrebbe mai dato potere al mio elemosinare, perché questo facevo: elemosinavo il suo amore.

E non avevo bisogno di farlo, perché io avevo già il suo amore. Questo cercava di insegnarmi.

L’ho capito qualche mese fa. Quando la sua malattia non gli ha più permesso di ricordare il mio nome, ma anche di non trattenere più le emozioni.

Nel momento in cui non ha più potuto essere autonomo nelle sue funzioni corporee, ha scelto di morire, e così ha fatto.

Era un uomo dalla forte dignità, e di una intransigente indipendenza, non era accettabile per lui vivere così.

Prima, però, doveva dimostrarmi il suo amore.
Privata di ogni sovrastruttura piangevo come una bambina e mi addormentavo sulla sua spalla, nei lunghi pomeriggi al suo capezzale. Siamo stati insieme come mai era successo. E ho avuto l’onore di poter curare il suo corpo, lavarlo e baciargli le guance scavate. Ho avuto il dono di poterlo amare come mai avevo potuto fare.

In una notte d’inizio dicembre, in silenzio così come è vissuto, se n’è andato. Mi ha permesso di stargli accanto fino al suo ultimo respiro.

Solo io e lui, col vento di levante che sembrava entrare dentro, e forse è entrato e se l’è portato via. Il mio Sciamano, mio padre.

Prima di lasciarmi mi ha insegnato che sono una donna forte, che ho un cuore grande, che posso farcela perché ho spalle robuste abituate alla tempesta, ma soprattutto che non sono invisibile e che non ho bisogno di elemosinare l’amore.

Ora forse so cosa significa vivere per imparare a morire, l’ho imparato da mio padre.

Ho voluto raccontare questa storia perché può essere utile a qualcuno. A volte basta cambiare il punto di vista e la narrazione degli eventi.

Grazie a questo cambio di prospettiva ho potuto guarire credenze e vecchie cicatrici, trovare tesori dentro pozzi melmosi.

Ti auguro di raccontare la tua storia come farebbe un Bardo ispirato.
Trasforma tristi trame in meravigliosi epiloghi.

Enrica

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