Come si può definire un’immagine?
Una delle regole della magia è di immaginare ciò che si desidera come già ottenuto con tutte le emozioni del caso.
E qui sicuramente la mente non può avere forza perché, creando l’immagine che ti proietta in una realtà in cui tu hai già ottenuto ciò che desideri, è il cuore a sentire, la pancia, le emozioni e le sensazioni, ad avere piena leadership grazie all’immaginazione.
L’immagine arriva da un luogo sconosciuto che non ha a che fare con la mente perché l’immagine è libera da tutti quei pensieri razionalizzabili, individuabili, riconoscibili come già vissuti.
Se permettiamo alle elaborazioni mentali di cercare un modo per realizzare i nostri desideri utopistici, difficilmente ci riusciranno perché la mente può elaborare solo ciò che conosce e che ha già vissuto.
Di conseguenza non capisce qualcosa se non ne ha fatto esperienza più e più volte.
Quindi, se ci imbarchiamo in un’esperienza completamente nuova la mente va in tilt. Si affanna a cercare nei ricordi una situazione simile e se non la trova accende l’allarme anti-nuovo e ci manda la sua alleata migliore: la paura.
Ecco che l’immaginazione diventa valida alleata.
Come?
La storia insegna che l’immaginazione andava a pari passo con la conoscenza,
non esisteva la scissione tra realtà e immaginazione, così come storia e mito erano la stessa cosa.
Quando il mito è stato diviso dalla storia, l’immaginazione è stata divisa dalla realtà e la divinità dalla natura, la mente è passata da traghettatrice tra il cuore e il cervello, o elemento terra e aria, a sabotatrice.
Non tanto perché fosse brutta e cattiva ma con quella divisione innaturale ha perso la sua reale funzione, come se fosse stata manomessa da paradigmi esterni.
Una prova di quanto l’immaginazione fosse importante ce la danno i Bardi e gli Scaldi del nord Europa con una forma narrativa magica chiamata kenning.
Kenning deriva dal norreno kenna che significa “esprimere una cosa in termini di un’altra”.
Si usavano, quindi, perifrasi evocative per narrare una storia.
Faccio un esempio: la nave era il cavallo delle onde o il destriero marino, il sole era il gioiello del paradiso o la gloria degli elfi, il corvo era il cigno di sangue, e così via.
A cosa servivano realmente queste kenningar?
Posso esprimere la mia idea riguardo, e cioè che fossero espedienti…
Nella tradizione norrena i poemi venivano imparati a memoria.
E, affinché fossero ricordati e assorbiti completamente, con molta probabilità sapevano di dover stimolare un tipo di percezione più evoluta mettendo in moto la mente, l’intelletto, il cuore, le emozioni e le sensazioni per riuscire a ricordare quei lunghi e complessi poemi.
In più c’è da dire che a quei tempi la scissione di cui parlo sopra, forse, non era ancora avvenuta, e la mente era nel suo pieno potere di traghettatrice mnemonica e creativa.
Al giorno d’oggi facciamo fatica a memorizzare brevi poesie, o anche il nome di una persona appena conosciuta, figuriamoci poemi interi e molto lunghi.
Ma le immagini?
Dunque, tutto il discorso per dire che più riusciamo a creare immagini fuori dall’ordinario più abituiamo la mente a ricongiungersi col cuore.
Ne Il Bardo Thodol il Libro Tibetano dei Morti (è bene sapere che Bardo, in tibetano, significa “stato intermedio”) c’è un importante insegnamento:
Ci sono almeno cinque preparativi per la morte così come per qualsiasi viaggio e sono: informativi, immaginativi, etici, meditativi e intellettuali.
Il secondo genere di preparativi consiste nel crearsi un’immagine ben definita dei possibili piani d’esistenza futuri. I testi buddhisti sono ricchi di suggestive descrizioni di paradisi, regni celesti, paradisi nascosti e via dicendo. Le descrizioni delle terre di Buddha sono incredibilmente ricche e stimolanti per l’immaginazione, dischiudendo per noi la possibilità di una felicità ed una bellezza che non fanno parte di questo mondo. Leggere o immaginare questi regni aiuterà l’immaginazione ad essere preparata ad uno splendore che altrimenti, nella sua magnificenza, potrebbe incutere timore.
Non focalizziamoci sulla morte, non ora, ma sul Viaggio e sul secondo preparativo: l’immaginazione.
Il viaggio al quale si riferisce Padmasambhava non è solo la morte del corpo fisico ma l’esistenza con tutte gli stati intermedi dei quali è composta. Una tra tutti il cambiamento, il passaggio da un vissuto ordinario ad un altro vissuto totalmente extra-ordinario.
Come si può attuare un cambiamento se rimaniamo legati a ricordi, dogmi, oggetti, verità stantie, decisioni prese dal vissuto pregresso, pensieri formulati dall’ordinario, eccetera?
Con l’immaginazione!
Se Padmasambhava, presunto secondo Buddha, si è preso la briga di diffondere il buddhismo in Tibet e di comporre il Bardo Thodol, tra l’altro testo sacro nascosto e poi ritrovato solo nel XIV secolo, voglio pensare sapesse il fatto suo. E sapesse di cosa parlava.
Di conseguenza, da quello che ho capito io, è bene riabituare la mente all’inaspettato per non dover sempre fare i conti con paure inutili, creando scenari inconsueti con l’immaginazione.
Bene, come fare?
E chi lo sa?
Si potrebbero dipingere mondi insoliti, ballare una danza lasciando andare il corpo. Usare spezie che non hai mai usato per insaporire i cibi. Ascoltare una musica diversa, scrivere una poesia senza senso, fare qualcosa che non hai mai fatto…
Dire “mi piaci” anche se stai tremando…?
Hai mai provato?
È una gran fatica, lo so, a volte vorrei essere piccola come un topo e nascondermi in qualche anfratto, ma quando si sceglie la strada della scoperta bisogna farsi coraggio.
Per cominciare possiamo anche solo metterci comode e dare il via libera all’immaginazione, è comunque importante, ma poi ricordiamoci che anche l’azione vuole la sua parte.
Ti auguro scenari colorati e un po’ pazzi, cibo super speziato e sorprendente, mani sporche di colore e baci inaspettati!
Enrica