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Lettera ai miei figli

Vorrei poter tornare indietro per amarvi diversamente,

guardarvi diversamente e tacere,

sorridere, lasciarvi la mano e permettervi di cadere.

Lasciarvi piangere, e consentire che la rabbia si dichiari

faccia danni

e rompa oggetti ed equilibri vari.

Vorrei tornare indietro per dirvi tanti «no» con un bacio ed un sorriso,

permettere al vostro fuoco di bruciare,

testare quanta determinazione vi è stata donata, e ringraziare.

Vi accarezzerei i capelli spettinati come i pensieri che li facevano stare dritti sulla testa,

così ostinati da resistere al pettine portando avanti la loro protesta.

E invece di domarli, ascoltarli, quei pensieri,

e lasciarmi guidare dai loro voli pionieri.

Se potessi tornare indietro vi porterei in campagna,

dove l’erba è più alta tra le farfalle e il dente di leone,

dove il tempo viene scandito dall’alba, dal tramonto e dal vento padrone.

In quei luoghi cercherei la micia che ha appena dato alla luce i suoi gattini

per farvi scoprire che i loro occhi sono chiusi,

ma si sanno difendere anche se piccini.

Rimarremmo lì a guardarli, senza interferire,

con un filo d’erba in bocca,

testimoni silenziosi dell’arcano divenire.

Se potessi tornare indietro vi porterei al mare prima dell’aurora,

quando la spiaggia è deserta e l’acqua è fredda,

dopo una notte bianca a raccontare storie sulla Sacra Signora.

Se potessi tornare festeggerei con voi il sangue mestruale,

lo donerei alla terra come le donne lontane,

e vi mostrerei il rispetto che si deve avere con un rituale.

Anche per te mio uomo e figlio diletto,

ora padre di una piccola donna, che cambierà ogni progetto.

Vi porterei in un bosco a cantare alla Luna come lupi,

e ascoltando gli Spiriti degli alberi

attenderemmo le fate e i popoli perduti.

Se potessi tornare indietro…

ma il vento, padrone del tempo,

mi sussurra che ieri è oggi e oggi è già domani,

nulla è perduto perché l’amore fa giri strani.

Si racconta a grandi e piccini

che le notti nei boschi

siano portali divini.

I vostri occhi rimandano raggianti immagini di danze fatate,

e intono un canto alla Luna per ringraziarla della meraviglia che mi donate,

grazie per essere nate creature adorate.

Enrica

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