Nasciamo dentro una storia e, questa storia, potrebbe essere bella o potrebbe essere una storia triste.
All’interno di questa storia ci sono tanti altri personaggi che, fin dal primo vagito, ci faranno vedere il mondo così come loro lo vedono, ci insegneranno cosa si fa in quel mondo e come si fa a stare nel loro mondo. Ci ripeteranno all’infinito le regole di questa storia e come fare per continuare a raccontarla. E noi ci crederemo. Dentro questa storia ci rimaniamo parecchio tempo, chi è fortunato smette di raccontarsela molto presto, chi è meno fortunato si ferma anche tutta la vita.
Crescendo proveremo a ribellarci, magari ci riusciremo, ma dentro di noi qualcosa avrà assorbito questa storia e le sue regole, i suoi dogmi, i suoi ideali, i suoi eventi e tutto quello che concerne tale storia. Così, andremo nel mondo con un’idea molto radicata di chi siamo, e possiamo sentirci confusi sul chi siamo ma l’identità acquisita e assorbita per tanti anni rimane lì, anche ben nascosta.
Io sono diversa!
Possiamo credere di essere completamente diversi dalle persone che ci hanno cresciuto, e può capitare di avere anche una relazione travagliata o conflittuale con queste persone. Allora pensiamo: “io non sono come mia madre, io non sono come mio padre, io non sono come i miei fratelli, io non sono come la mia famiglia, sono la pecora nera! Io non sono come la gente del mio paese o del mio quartiere. Io sono diversa!”
Ed è vero, siamo diversi, ma non lo abbiamo ancora acquisito a livello profondo, a volte rimane solo un concetto intellettuale.
Questa identità radicata salta fuori in vari modi. Di solito si esprime a livello emotivo e ci ritroviamo a fare scelte dettate da questa emotività, cercando di colmare mancanze e fuggendo dalle ferite di questa identità radicata; anche se siamo straconvinti di essere completamente diversi e di aver lasciato andare quella storia personale. Eppure, dentro di noi c’è ancora il vecchio narratore che ci racconta che siamo la storia in cui siamo nati. E ci sussurra continuamente le idee che ci hanno inculcato dalla nascita fino all’età adulta.
E proprio per scollarci di dosso questa identità, le facciamo la guerra. Mentre il vecchio narratore continua a sussurrare le sue false credenze, noi ci ribelliamo sempre più forte e andiamo contro tutto con fare minaccioso. Ritrovandoci a fare scelte solo per continuare questo scontro, fino a toglierci un’identità fasulla per indossarne un’altra ancora più fasulla.
Finché, un bel giorno, e credimi non è ironia ma è davvero un bel giorno, guardiamo la nostra vita e scopriamo che stiamo replicando la storia dalla quale siamo fuggiti inorriditi, e alla quale facciamo la guerra con ogni mezzo.
La guerra crea sofferenza anche se fatta con uno scopo di pace…
Nella guerra non esiste la pace e se facciamo la guerra a questa identità creeremo sofferenza. Una sofferenza che si manifesterà in vari modi, a volte saranno facilmente individuabili, altre volte sentiremo emozioni incomprensibili, oppure faremo esperienze e incontri altrettanto incomprensibili.
Quindi, la storia nella quale siamo capitati, volenti o nolenti, continuerà a muovere i fili delle nostre azioni.
Ci viene insegnato a cercare un posto nel mondo e, questo posto nel mondo, è sempre legato a un’identità; invece, i grandi maestri spirituali ci dicono di non identificarci. Ma come fare?
Non era la mia storia
A questo punto ti posso solo dire la mia esperienza, diciamo che se avessi creduto alla identità della storia in cui ero nata, non avrei mai scritto libri e non farei di certo corsi di scrittura creativa. Quella storia mi voleva da tutt’altra parte a fare tutt’altra cosa, e l’ho fatto per un bel po’ di tempo ma stavo per spegnermi. Vivevo in un addormentamento costante ed ero profondamente infelice, finché ho avuto un crollo.
Durante questa sosta forzata ho cominciato a scrivere e la scrittura è stata determinante, insieme alla meditazione. Questo connubio mi ha permesso di andare oltre a tutti i condizionamenti esteriori ed interiori, tanto da riuscire a vedermi disidentificata da quella storia, nello stesso modo ho potuto vedere le persone della mia famiglia da un altro punto di vista, senza più appiccicare loro ruoli e aspettative. All’improvviso sono diventati solo individui che cercavano di fare del loro meglio con quello che avevano a disposizione, sia a livello intellettuale, sia a livello emotivo, sia a livello materiale.
A quel punto non è stato difficile sganciarmi dal peso di quella storia e, per quanto ancora adesso mi debba ricordare spesso che io non sono quella storia, posso dire con certezza assoluta che mi sono salvata la vita smettendo di essere ciò che gli altri si aspettavano da me, compreso ciò che io credevo di essere.
E posso dire in tutta onestà che la scrittura è stata per me determinante, mi ha aiutata a togliere quella maschera pezzo dopo pezzo, e sono riuscita a recuperare le forze per tornare da me perché la mancanza era diventata insopportabile.
Per finire ti invito a sentirti di nuovo, ad ascoltare il tuo cuore e a non credere a nessuna delle identità della tua storia. La mente è una drammaturga molto prevedibile, in fondo, mette in scena sempre la stessa commedia, lasciala fare, se non le darai retta si stancherà.
Tu intanto torna a casa, torna da te stessa.
Con Amore Enrica di Scrittura Senza Censura