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Radio Insomnia. Prima parte

INTRODUZIONE

Questo racconto breve in 4 parti tratta il lavoro di esercitazione e sperimentazione degli esercizi che poi propongo nei miei laboratori di scrittura esoterica.

In questo caso si tratta del Laboratorio di Scrittura Esoterica con Amore e Psiche (di Apuleio), una storia antica che ho analizzato e studiato per anni, scoprendo quanto sia perfetta per un lavoro di scrittura che possa trasformarsi in un rituale iniziatico.

Iniziatico?

Creare un protagonista femminile e uno maschile con l’espediente narrativo della storia d’amore ostacolata, si riescono ad osservare schemi ripetitivi, e molti dei meccanismi che mettono il freno  all’espressione creativa.

Oltre a questo ogni capitolo avrà un diverso stile narrativo, sarà utile per farti scoprire quale potrebbe essere il tuo stile autentico.

Ora ti lascio leggere la storia.

Buona lettura!

 

RADIO INSOMNIA

 

«Tutte le notti così, vado a letto quasi a mezzanotte stanca morta e mi addormento appena tocco il cuscino. Poi, alle due mi scappa la pipì e non riesco più a dormire fino alle 5.»

«E che fai dalle 2 alle 5?»

«Leggo, lavoricchio al computer, scrivo i testi per le locandine degli eventi e ciondolo su Instagram. Cosa dovrei fare a quell’ora della notte?»

«Beh, ci sono tre strade, anzi, quattro: il sesso, la melatonina, la meditazione, o… Radio Insomnia.»

«Sesso? Con chi?»

«Anche da sola!»

«Uff, che noia, ma… radio Insomnia?»

«È una radio locale che propone una rubrica per nottambuli: “poesia insonne”. Comincia all’una e finisce alle 3. Lo speaker ha una voce sexy e recita versi di poesie tra una canzone e l’altra.»

«Ci sentiamo più tardi, sta arrivando gente, inviami la frequenza di Radio Insomnia con un messaggio, che non sia la soluzione alle mie notti interminabili.»

Giada mi salutò con un bacio e riagganciai. Mi sembrava di vederla mentre usciva di fretta verso una qualche lezione di ballo, forse il Tango. Sì, il venerdì aveva il Tango.

Intanto il gruppo lettura per bambini si dirigeva nell’area dedicata ai racconti dai 6 agli 8 anni. Come al solito le mamme erano più rumorose dei figli e i miei «sshhh!» cominciavano la loro sinfonia.

Quando fu ripristinato l’ordine e il silenzio, iniziai il racconto, sempre accompagnato dai buffi disegni alla lavagna che facevano ridere i bambini e li tenevano attenti alla lettura.

In un mondo di immagini, bisognava stare al passo per invogliare i piccoli lettori a tornare.

E mentre la mia scatenata amica Giada imparava un ballo sensuale avvinghiata al suo maestro, io me ne tornavo a casa da sola, dopo essere passata da Alfredo il fruttivendolo, per mettere insieme una cena.

Ho sempre amato cucinare, e quella sera i peperoni ripieni di lenticchie e zucchine, mandavano un profumo paradisiaco.

Il dessert consisteva in un piccolo pezzetto di cioccolato fondente con latte di cocco.

……….

Osservavo le bollicine di schiuma scoppiare e sparire stando mollo nella vasca.
Ero un po’ stanca di stare da sola, avrei voluto qualcuno accanto con il quale condividere la vita, parlare, anche di cose ordinarie come un libro, ridere di sciocchezze, esternare opinioni, mangiare insieme i peperoni ripieni e anche non fare niente.

Nella mia routine quotidiana fatta di silenzi, di ritmi lenti, riflessioni, letture e pantaloni del pigiama bucati all’altezza del sedere, c’era posto per qualcun altro?

Una vita fatta di comodità come le mie mutande, per esempio, io portavo solo mutande comode di cotone. E come rinunciare a tenere la luce accesa per leggere di notte sdraiata a letto, se quel qualcuno me lo avesse chiesto? O rinunciare a dormire con la mia cagnolina tutte abbracciate sotto le coperte?

Era una vita ordinatamente disorganizzata, fatta di rituali che forse non avrebbero potuto esistere se insieme a me ci fosse stato un altro essere umano.

O forse erano solo scuse per auto-convincermi che la mia solitudine fosse una scelta ben ponderata, e non la paura di vivere pienamente anche l’esperienza di una relazione.

A onor del vero, piuttosto dell’ultima disastrosa esperienza, era meglio la solitudine.

Uscii dalla vasca e mi avvolsi nell’accappatoio, rimasi a guardare il mio riflesso nello specchio appannato.

Io ero questo, un’immagine appannata, gran parte della mia vita era un’immagine appannata.

Come il mio lavoro: immagini appannate e parole altrettanto appannate. Come se vivessi in un limbo, un non luogo, un non tempo, qualcosa di irreale.

Una relazione mi avrebbe resa reale e, forse, avrei dovuto prendermi un sacco di responsabilità, come cercare un lavoro che mi piacesse davvero e diventare meno “appannata”, comprarmi un pigiama nuovo e ricordarmi di essere anche una donna.

Meglio provare a dormire.

………

E fu così che arrivò l’ora fatidica! Puntuale in un modo assurdo la mia vescica mi mandò segnali inequivocabili.

Andai a fare pipì e tornai a letto.

Guardai l’orologio e sospirai. La mia ex insegnante di yoga mi avrebbe consigliato di portare attenzione al respiro, tutti quei sospiri erano causati da una respirazione corta e superficiale, avrebbe detto.

Ma forse era solo stanchezza.

Le notti insonni stavano mettendo alla prova la mia proverbiale resistenza fisica.

Radio Insomnia, mmh, non era proprio una soluzione, avrei preferito dormire, ma la curiosità si stava insinuando dentro di me.

Voce sexy, poesie e musica? Sempre meglio che mettersi a lavorare al computer.

Presi il cellulare, misi le cuffie e cercai Radio Insomnia.

La voce suadente di Tanita Tikaram che cantava la sua “Twist in My Sobriety” mi fece prendere un respiro profondo e lento, che meraviglia la voce di Tanita e le parole emblematiche di una donna che cerca di non perdere il controllo di se stessa per amore, molto pertinente. Mi accoccolai meglio a Bibi che russava accanto a me e tirai le coperte fino al mento.

Chiusi gli occhi.

Sulle ultime note una voce di uomo cominciò a sussurrare:

Amico mio, quando dinanzi ai miei occhi si stende il crepuscolo e posa intorno a me il mondo e il cielo tutto nell’anima mia come la sembianza di donna amata, allora spesso sono preso da un angoscioso desiderio e penso: ah, potessi tu esprimere tutto questo, trasfonderlo sulla carta così pieno e caldo come vive in te…

Goethe, I dolori del giovane Werther?

Pensavo che il tipo in questione si sarebbe dilettato in poesie di Neruda, o Bukowski, autori di facile presa sulle masse, e invece… Goethe e I dolori del giovane Werther? Impegnativa come scelta.

La voce dello speaker non era troppo profonda, sembrava sussurrasse un segreto all’orecchio di qualcuno senza atteggiarsi, era naturale, naturalmente sensuale, dolce. Ero rapita.

Intanto le note della canzone successiva si sovrapponevano alla sua voce, e “Disintegration” dei The Cure, mi lasciava tramortita.

Credo furono le note di Dreams dei Cranberries, ad accompagnarmi da Morfeo, arrivate dopo questi versi: “Non voglio più esser guidato, ravvivato, infiammato; questo cuore arde abbastanza per se stesso; ho bisogno di un canto che mi culli, e questo l’ho trovato, in tutta la sua pienezza, nel vecchio Omero.

………

Il sabato mattina era un giorno tranquillo, niente gruppi di lettura o laboratori creativi, e potevo scribacchiare versi poetici tra una restituzione e un prestito.

Soffio sul collo,
musica
ricordi

No, soffio sul collo, no, è dozzinale!

Segreti
musica
ricordi.

Ancora abbastanza dozzinale, ma meno. Non che dovessi impressionare qualcuno, lo facevo per diletto e per la semplice curiosità di osservarmi. Avevo un mentale pressante, predominante, castigante, giudicante, pesante, eccetera eccetera, e avevo trovato nella poesia un’ottima aiutante per bypassarlo.

Quella mattina, tuttavia, sentii di essere completamente nel controllo.

Chiusi gli occhi, feci bei respiri profondi e…

«Signora, mi scusi non riesco a trovare questo libro.»

E… fine della magia! Signora? Sul serio?

Ecco, ero entrata in quella fase.

Aiutai il ragazzo nella sua ricerca e tornai davanti al computer, la mia creatività era in pausa, tornò la mancanza, tornò il vuoto, presi il pacchetto di mandorle dalla borsa e cominciai a sgranocchiarle. Solo una decina, pensavo, e dopo 14 minuti esatti guardai il sacchetto da 350 g di mandorle, vuoto!

Le avevo mangiate tutte.

Le avevo comprate per farmi il latte di mandorla.

Non di nuovo, non ancora!

Il peso sul petto trovò il buco nello stomaco e ci entrò con un bel tuffo. Mi salì una nausea così forte e improvvisa che dovetti scappare in bagno.

Tirai lo sciacquone e mi sedetti sulla tavoletta, tremavo come Milli, il chihuahua di Giada.

«Iris, tutto ok?»

Stavo per dire sì, poi sentii salire di nuovo la nausea, «Non tanto, credo di avere qualche virus…»

«Per carità, vattene a casa, finisco io qui. E quando esci stammi alla larga, è sabato, stasera Antonio mi porta a ballare, il virus è ottimo di lunedì, non di sabato!»

Non contraddissi minimamente l’ordine della mia collega e, barcollando sulle gambe instabili, presi il giubbetto dall’attaccapanni.

«Mentre eri in bagno è arrivato un tizio chiedendo se poteva lasciare questi volantini. Non ti avvicinare, stammi alla larga, tieni!» mi lanciò un volantino appallottolato, lo raccolsi e tornai a casa.

 

Appena varcata la soglia mi buttai sul divano esausta, Bibi venne a farmi le feste e una malinconia fortissima mi strinse lo stomaco in una morsa, sembrava una grande mano che stringeva forte, di nuovo la nausea, corsi in bagno, stavo male, non mi reggevo sulle gambe. Bibi mi guardava triste e piagnucolosa, si aspettava che la portassi a fare la passeggiata, ma non ce la facevo.

Ero sola.

Nessuno poteva aiutarmi.

Sola.

Potevo anche morire con la testa nel cesso, e forse qualcuno se ne sarebbe accorto tra qualche giorno, forse lunedì, e mi avrebbero trovata così: abbracciata al water e circondata dagli escrementi di Bibi.

Piansi ancora e provai a trascinarmi sul divano.

Intanto Bibi mi guardava sempre più preoccupata e piagnucolante.

«Ciao Giada, scusami se ti disturbo, ma sto male, non mi reggo in piedi, credo di avere un virus intestinale, avrei bisogno d’aiuto per Bibi.»

«Tesoro sono a Milano, sono appena arrivata, non posso fare tre ore di viaggio per portarti fuori il cane, mi dispiace. Non c’è nessun altro che possa aiutarti?»

Spensi la telefonata e mi salì una rabbia così forte che riuscii ad alzarmi in piedi, misi il guinzaglio a Bibi, e la portai a fare i suoi bisogni al parco. Mi girava la testa ma almeno il vomito sembrava in pausa.

No, non c’era nessun altro che poteva aiutarmi!

Non ero arrabbiata con Giada, ero solo arrabbiata, così, a cazzo, non con qualcuno o qualcosa in particolare; con tutto, ma proprio tutto!

Tornata a casa misi un po’ di croccantini nella ciotola di Bibi, controllai che avesse l’acqua e svenni sul divano.

Alle 2.30 cercavo di raggiungere il bagno, mi scappava una pipì assurda, mi spogliai, avevo ancora i jeans, e la camicia oramai sembrava carta crespa per quanto era spiegazzata, infilai il pigiama e andai a letto.

Fine del sonno.

Ero bollente.

La pelle mi faceva male.

Avevo freddo, Bibi si accoccolò tra le mie braccia, accarezzai il morbido pelo fulvo e le baciai la testolina.

Chiusi gli occhi, mentre parole sconnesse cominciarono ad intrufolarsi tra i pensieri. Sembravano insegne luminose in una strada di città, affollata e ingorgata.

Inverosimile.

Di più.

Paga.

Composizione.

Assente.

Presi il quaderno che tenevo sempre sul comodino e cominciai a scrivere. Ero consapevole di compiere l’azione dello scrivere, ma per tutto il resto no, come se non vedessi nemmeno le parole.

La febbre alta ebbe la meglio e mi lasciai andare alla stanchezza.

………..

Quella mattina fu Bibi a svegliarmi, mi sentivo bene, quasi non lo credevo possibile, per un attimo credetti di aver sognato quel malessere. Il plin plon del telefono mi avvisò di un messaggio: la mia collega mi chiedeva come stavo e che, se nelle prossime ore si fosse sentita male causa virus, mi avrebbe uccisa.

Ok, non era stato un sogno.

Indossai le prime scarpe che trovai e una giacca di felpa abbastanza lunga da coprire i buchi del pigiama e portai Bibi a fare la pipì nello spiazzo verde del condominio.

Incontrai chiunque in quei 10 minuti, anche il tipo carino e single dell’appartamento di sotto. Ma possibile che alle 8 di domenica mattina fossero tutti così attivi?

Cominciai a sfanculare la mia pigrizia, avrei potuto almeno togliermi le caccole dagli occhi, o pettinarmi, o infilare le scarpe da ginnastica invece delle ballerine nere eleganti. Perfette col pigiama e la giacca della tuta.

E vabbè, il danno era fatto.

Appena in casa mangiai come un orso appena uscito dal letargo.

Tra una cucchiaiata di cereali e l’altra, flash di immagini mi apparvero davanti agli occhi: io che vomitavo, un volantino appallottolato che mi veniva lanciato dalla mia collega, e io che scrivevo seduta a letto.

Subito mi alzai e rovistai nella borsa, trovai il volantino tutto stropicciato:

Partecipa al concorso di poesia organizzato da Radio Insomnia!
 

Il vincitore riceverà un buono shopping di 100€ da spendere nella sua libreria preferita!
Invia la tua poesia a questo indirizzo…

Ah, però!

Interessante.

E recuperai il mio quaderno sepolto tra le coperte.

Sono una composizione assente
un diverso agire
un pigiama bucato.

E ti dirò di più,
qualcosa di inverosimile,
perché sto lavorando per chi non paga.

Sono una vecchia senza saggezza
sono colei che vede senza conoscere.

 

Ma pensa che strana febbre. Molto interessante…

Con assoluta noncuranza inviai i versi trovati sul quaderno all’indirizzo e-mail del concorso e continuai a vivere la mia pigra domenica tra pulizie di casa, passeggiate con Bibi, tè bianco e tè nero, e sgranocchiamenti alternati tra patatine e biscotti.

 

To be continued…

Intanto leggi qui:

AMORE E PSICHE

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