Piccoli spruzzi d’acqua escono dalla roccia. Sono disordinati, pieni di schiuma, getti potenti che si liberano dall’oppressione della pietra.
Poi iniziano a scorrere, si domano un poco e sfilano in modo più ordinato. La schiuma lascia il posto alla trasparenza dell’acqua, cristallina e iridescente.
Poche gocce, pochi spruzzi che, mano a mano, aumentano e diventano un fiume, poi scompaiono ancora, inghiottite dal terreno.
Formano una cascata e sprofondano in chilometri di grotte buie, tra stalattiti e stalagmiti vecchie migliaia di anni, rocce dipinte in epoca preistorica, rifugi per uomini e animali da tempi immemori.
Qui l’acqua scorre lentamente, creando forme e percorsi, arricchendosi di esperienza e tesori invisibili, da portare alla luce più avanti, quando sarà arrivato il giusto momento.
Accecata dal sole, finalmente l’acqua torna in superficie. L’uomo la vìola, cercando in lei nutrimento e ristoro, derubandola delle sue creature e spargendovi elementi che non le appartengono. Rovinando in parte la sua natura.
Ma lei continua a scorrere, fino alla foce. E proprio nel punto di contatto tra fiume e mare, proprio lì, dove l’acqua non è né dolce né salata, dove non c’è più il fiume e non ancora il mare, lì avviene il miracolo.
La dualità diventa unità, la separazione fusione, è un nuovo inizio.
Simona Argiolas