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Il clan delle madri

Volevo solo che tu fossi felice per me, desideravo che tu fossi orgogliosa della forza che ho dimostrato riuscendo a tenerti in piedi mentre io ero a terra. E nel prendermi cura di mille altri mondi allo stesso tempo.
Ora le mie braccia non ce la fanno più. Lascio andare.

Avrei voluto raccontarti di quanto io sia fiera di me stessa e di quanto mi renda felice quello che sto facendo.
Avrei voluto sentirti dire che potevo essere diversa da te, che ti fidi di me e delle mie scelte.
Ho desiderato tanto che volessi vedere com’è la mia nuova casa. Avrei voluto vedere l’orgoglio nei tuoi occhi mentre ti raccontavo come mi sono salvata, e poi ti avrei detto che mi sento persa ma che sto imparando a vivere senza punti di riferimento, senza orizzonte. E poi, ti avrei detto che la mia casa sono io e quanto sia bella questa sensazione.
Avrei voluto che ti interessasse sapere come vivo, e se sono felice.
Siamo così diverse, lontane più che mai e invece tu ti ostini a dirmi che siamo uguali e che sto sbagliando tutto. Mi dici di tornare indietro e di continuare a trattenere mondi tra le braccia, compreso il tuo.

Sono andata via da tutti quei limiti e precetti per salvarmi. Quel giorno ti ho parlato di me, ma il tuo sguardo era privo di qualsiasi comprensione o compassione. E ho capito. Così, ho lasciato andare il bisogno di approvazione.

Ora non pretendo più niente, la mia storia non ti appartiene, la mia vita non ti appartiene.

A volte impariamo a conoscerci scoprendo come non vogliamo essere. Molte di noi sono costrette a imparare ad essere donne andando avanti per tentativi, spesso fallendo, cadendo rovinosamente per poi rialzarsi a fatica e ricominciare tutto da capo. Senza guide, maestre e nessun sostegno.

L’arte d’essere donna

Essere donna è un’arte, un mestiere, una ricerca continua. Secoli di oppressione e normalizzazione dell’abnorme hanno causato danni che ci portiamo dietro ancora oggi. Dobbiamo fare un reset di ogni singola parola appresa dalla società, dalle istituzioni e purtroppo anche dalla famiglia.

La bella storia delle antenate e i quadretti familiari non sono la regola, ma ho capito una cosa, non importa, so che per salvare le progenitrici si deve andare contro tutto quello che sappiamo e tutto quello che ci hanno detto, madri comprese.

Spesso ci siamo sentite in colpa per non avere, o non avere avuto, un buon rapporto con nostra madre, sentendo di aver tradito il clan. E a causa di questo abbiamo creato dei conflitti interiori difficili da elaborare e guarire. Dimenticandoci una cosa fondamentale, in quanto figlie siamo il divenire, e spesso questo non collima con la storia delle donne che ci hanno generato. Ma è proprio nell’atto di ribellione che noi salviamo il nostro clan di madri. Se è vero che vivono in noi attraverso il corpo che abbiamo ereditato, è vero anche che salvare noi stesse salverà anche loro.

Io sono mia!

Non appartengo a nessuno, non ho un clan, né fratelli, né genitori, nessun legame, nessun patto, nessuna comunità, ora e adesso annullo ogni vincolo. Rompo gli equilibri e taglio radici da quell’albero originario, dove il mio nome è solo un altro anello di una catena arrugginita e consumata. Lo dico forte anche se non possiedo una gran voce, e sento le donne che mi hanno preceduta sospirare di sollievo. Chissà quante volte avrebbero voluto liberarsi e non hanno potuto farlo.

Vado via, ringrazio, e sussurro “ti amo” sperando che il vento lo consegni a chi di dovere.

Appartengo a me, e a nessun altro, guarisco me stessa e so che questo le salverà tutte.
Sono felice di avere gli occhi, il corpo robusto e i capelli neri delle mie nonne. Il silenzio di mio padre e l’arte del racconto di mia madre. Li porto con me ad ogni passo ma non racconterò più la loro storia, perché la mia è sempre stata una narrazione diversa. Parlerà di libertà, arte, nuove strade, amore vero… mancanza e pienezza.

Grazie per la vita, ora mi riprendo l’esistenza.

Per sempre mia

Enrica

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