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Bellachioma, la fanciulla scudo e il sublime mistero

Si narra di un amore, si narra della leggenda ad esso legata.

Harald era il suo nome, e fiero lui lo faceva echeggiare dalla Scozia alla Norvegia, valoroso e indomito come il vento del Nord, la sua terra.

Re di eroiche gesta, nulla gli fu negato, tranne un amore.

Gyda era il suo nome, bella quanto ambiziosa; Harald non era abbastanza ricco e potente per lei: «Re di tutta la Norvegia dovrai diventare, se la mia mano vorrai meritare!» disse a gran voce senza esitazione.

Ella non sapeva, o forse ben intuiva, che l’aitante eroe non aspettava altro. Una sfida, un’opportunità.

Con uno scopo e un obiettivo, quanto grande poteva diventare?

Cosa accese il fuoco di Harald? L’amore per Gyda? O la possibilità di essere più di sé stesso, di superarsi, di conoscere i suoi limiti e lasciarli indietro insieme al suo stato ormai obsoleto?

Affinché la trasformazione fosse completa, fece una promessa: «Non taglierò, né pettinerò i miei capelli finché il mio nome non sarà scritto sulla terra di Norvegia!»

Fu così che venne chiamato Harald Bellachioma.

Le sue avventure, le conquiste, le battaglie vinte e la sua lealtà nella lotta, fecero di lui un mito immortale.

Tra gli Scaldi che fieri e fedeli narravano le sue prodezze, c’era una donna, una poetessa. Scaldo in norreno antico significa: suono, voce. E Jòrunn divenne quella voce fuori dal coro che fu in grado di vedere oltre il personaggio.

Un mistero aleggia da secoli nei poemi di Jòrunn; detta fanciulla scudo e cioè guerriera, la quale rimase accanto a re Harald, elogiandone nell’opera intitolata Sendibìtr: “messaggio che morde”, il cuore da eroe giusto del re Bellachioma. Nessuno scoprì mai qual’era questo messaggio, nessuno colse nelle occulte e controverse Kenning, il segreto celato nel suono di quella voce di donna Scaldo.

Forse fu questo il vero amore?

Non si sa, ma mi permetto di esaltare tale leggenda, scoprendo nella trama intricata e bellicosa, la possibilità di superare l’io conosciuto con l’amore come ideale. E se l’amore fosse solo il mezzo per superare sé stessi e migliorarsi? E se alla fine, oltre al tormento dolce amaro di questo sentimento così esaltato da poeti e cantori dalla primeva alba, ci fosse solo la sfida di rompere le catene che ci legano a un “io” da cui ci dobbiamo liberare?

A voi la scoperta del sublime mistero.

Enrica

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