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Il mito della dea semplice

È risaputo che il monte Olimpo sia la culla delle più sfaccettate e molteplici personalità, dei vizi più discutibili, delle tragedie e delle esasperazioni, di tutto quel rumore messo in scena da egoiche rappresentazioni dei più bassi istinti.

La lotta alla supremazia tiene ben occupati gli dèi, suoi abitanti.

Ciononostante, in quel marasma di tradimenti, vendette, innamoramenti, egemonie, abbandoni e molto di più, viveva una dea che rimaneva lontana dallo stile dei suoi simili.

Lei era Ebe, giovane e di bellezza sopraffina, concepita da Era, ma con disaccordi sulla sua paternità.

Dea della gioventù, dea di primavera, coppiera del presunto padre Zeus.

La coppiera degli dèi era un ruolo di grande onore, solo chi meritava fiducia poteva versare ambrosia nelle coppe. Ebe era sempre al di sopra delle parti, lei non partecipava a nessuna controversia, dissapore, o passionale clamore.

Pacata, introversa, introspettiva, leggiadra e leggera a tal punto da essere spesso raffigurata trasportata da una nuvola.

Ebe, seppur bellissima, non era dea di bellezza, i suoi talenti venivano surclassati da chi faceva la voce più grossa, da chi attirava attenzione.

In un mondo che puntava al predominio e al potere, Ebe guariva le ferite di tale brama del fratello Ares.

Ebe, dea della femminilità senza eccessi, protettrice delle donne riflessive ma non silenziose, delle donne che vengono dimenticate dalla società della performance.

In un mondo dove è importante apparire, Ebe preferisce Essere.

Là dove la corsa al successo prosegue tra gomitate e calci, Ebe cambia strada e preferisce uno sterrato all’ombra degli alberi, tra i primi fiori di primavera e l’allegro volo delle rondini.

Ciò che non fa scalpore o rumore è spesso visto come mediocre, ma chi sa sussurrare in un collettività di urlatori è un notevole ribelle.

Enrica

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