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Le parole non se ne vanno

Nella Bibbia -come in quasi tutte le storie tradizionali della società occidentale- le donne hanno sempre avuto un ruolo comprimario: dovevano semplicemente occuparsi delle faccende domestiche, rispettare i padri, i fratelli e i mariti, riprodursi e stare zitte. Per millenni non hanno avuto voce, e ciò ha trasmesso l’idea che anche tutte le altre donne dovessero fare lo stesso. (Nota di Maura Gancitano, editrice de La Tenda Rossa di Anita Diamant.)

Cosa accade quando non possiamo esprimere parole, quando per forza o per paura non possiamo parlare. Quando millenni di silenzio spengono il fuoco della comunicazione, soffocandolo per la mancanza di ossigeno (elemento Aria)?

Succede che le parole rimangono intrappolate, s’incagliano e ristagnano.

Succede che si nascondono nei piedi, nelle gambe, nelle anche, nelle ovaie, nell’intestino, nel seno, dentro la gabbia toracica, nel collo, nella testa, sulle spalle, nelle braccia e nelle mani.

Le parole non se ne vanno, si fermano e sostano dentro il corpo, gonfiano le caviglie e l’addome, aggobbiscono le spalle e appesantiscono.

Le parole continuano a farsi sentire.

Qualcosa vorrebbe urlare, è quasi impossibile da controllare, come un colpo di tosse o una risata.

Allora attendiamo di essere da sole in auto per buttare fuori la voce, con una canzone o semplicemente con frasi sconnesse o nemmeno quelle.
Urliamo e basta.
Mostriamo i denti come lupi pronti alla lotta, oppure rimaniamo sulla difensiva come antilopi in mezzo ai leoni.

Eppure sogniamo scogliere sperdute dove cantare canzoni antiche e sconosciute, ma che scivolano dalle nostre labbra come se le avessimo intonate ogni giorno della nostra vita.

Noi siamo quelle canzoni.

Accarezziamo i nostri piedi, hanno tante cose da dire, scriviamole per non dimenticare, poi su fino alle ovaie, i seni, le spalle doloranti, e così via fino alle mani, scriviamo ogni parola nascosta, staniamola da dietro le iridi e gli occhi gonfi di pianto. Mettiamole in un ordine da non archiviare ma da pubblicare, da far sentire a chi abbiamo vicino e a chi non conosciamo.

Cantiamo ciò che per secoli non è stato detto.

Riportiamo equilibrio nelle parole, diamo loro spazio e attenzione, doniamole al mondo.

Mettiamoci al servizio delle parole che creano, e così facendo zittiscono il brusio insensato delle strade e delle città, sostituendolo con le storie delle nostre madri, delle nostre nonne, con le risate delle nostre figlie e delle nostre sorelle.

Lasciamo che la nostra voce canti le parole nascoste troppo a lungo.

Enrica

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