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Un Amore di Fuoco e di Acqua

La terra trasforma coloro i quali ci poggiano i piedi. La potenza della terra come elemento è spesso sottovalutata, ed è un vero peccato.

Il paese nel quale si nasce o si sceglie di vivere, modella in modo decisivo l’individuo. Apportando doti e sensibili influssi, positivi o negativi, a seconda degli eventi legati al territorio.

La storia che sto per raccontare è una storia vera, tramandata dalle vecchie capostipiti del mio paese. E, quando fui ritenuta abbastanza grande per accogliere la potenza di questa narrazione, mi fu consegnata come accadeva sempre: mia madre mi portava dalla vecchia che mi faceva da nonna e, con l’espressione austera di chi dà la giusta importanza ai racconti, m’invitava a sedere sulla nuda terra davanti alla porta di casa, brandiva un foulard che sventolava per tutta la storia, dopodiché, con il benestare della notte e dei cicli lunari, mi consegnava il tesoro narrativo.

Quella volta la storia cominciò così…

Di acqua e di fuoco era questa terra, i due amanti si univano con la Luna piena e l’aiuto del vento caldo da sud-est. La loro storia d’amore era carnale e di una potenza dirompente.

Quando i due amanti bramavano l’unione, prendevano ciò che gli spettava durante l’amplesso, per poi tornare ognuno al proprio posto. Il fiume faceva il suo corso e la terra appena fecondata riprendeva ad essere lussureggiante.

Il fuoco dimorava dentro la terra creando nella bruma delle campagne i magici e leggendari fuochi fatui, venerati dalle figlie delle streghe arcaiche, che s’inginocchiavano al loro cospetto in adorazione. La magia permeava questo luogo, dove anche per attraversare il fiume si chiedeva il permesso alle acque, ricevendo assenso o dissenso, mediato dalle donne sapienti, dette strie o strighe, che ogni volta trovavano la chiave comunicativa per far muovere le imbarcazioni che, altrimenti, non avrebbero potuto avere il benestare del fiume.

La magia era in ogni gesto, da quelli appena citati al preparare una zuppa, o il pane. Le donne, per impastare farina e acqua, si legavano i capelli affinché i pensieri e le emozioni rimanessero ferme nell’intreccio, e non finissero dentro il pane. Pensieri passionali, amori taciuti, ideologie sovvertive e molto altro dovevano essere protette e nascoste tra i capelli. Spesso si ricorreva ad una ulteriore purificazione della pagnotta tracciandoci sopra una croce.

Questo paradiso naturale fu presto distrutto dall’ignoranza e dalla sete di potere dell’uomo, che accortosi della ricchezza di Fuoco del sottosuolo, lo volle sottrarre per il suo tornaconto, e la Grande Madre fu violentata per estrarre il gas naturale in Essa connaturato. E il Fuoco, l’Anima Selvaggia di questo luogo, fu estinto per sempre. Quando l’Acqua andò a cercare il suo innamorato e non lo trovò, fu implacabile. Con la potenza dell’amante furiosa, distrusse tutto. Sradicò alberi e abitazioni, uomini e donne, e lasciò una terra desolata dietro di sé. Senza il suo amore e privata dell’anima, ritirò gli artigli dopo la furibonda devastazione, e si fece ammansire dall’argine alto costruito dopo la violenta esondazione.

Ora questa terra, privata dell’Anima, ha smesso di creare, la magia non la permea più. Le donne hanno smesso di essere strie, l’unione erotica degli elementi è stata separata per sempre.

La terra su cui ora poggio i piedi mi racconta una storia d’amore perduto, di violenza e dominio, di solitudine e privazione. E la sento, sento questa sofferenza, mi appartiene. Sono l’acqua che ha perduto il suo fuoco innamorato. E spesso ho costruito argini alti per ammansirmi.

Poggiamo i piedi sopra bradi terreni, purifichiamo i nostri sentimenti nelle selve incontaminate, diventiamo nomadi instancabili ed esploratori di nuove narrazioni, perché spesso, le memorie dei territori raccontano storie di un amore smarrito.

Enrica

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